Andar per montagna fa bene ai cardiopatici (2007)
Montagnaterapia, che giornate, ragazzi! L’impresa (siamo alla quarta edizione di questa esperienza, studiata e curata con passione e perizia da Francesca Lumia e Giulio Scoppola, rispettivamente cardiologa e psicologo del S. Spirito, ma anche soci del Club Alpino) comincia un venerdì mattina di metà giugno, con la partenza da Roma, direzione Rieti, meta l’area montana del Terminillo. L’impresa finisce l’indomani, a sera, magari con la carne “crepata” ma con la soddisfazione di aver raggiunto l’obiettivo. Che è quello di dimostrare, prima di tutti a se stessi, che i cardiopatici – anche in età molto avanzata – possono andare per monti, possono marciare anche in cresta, possono raggiungere una cima di 2.015 metri, quella di Monte Elefante, o almeno stiorarla ché s’è messo di mezzo un brutto nuvolone gonfio di pioggia. Ma l’impresa ha dimostrato che i cardiopatici possono (e sanno) fare anche altre cose, apparentemente meno importanti e impegnative, ma ugualmente preziose: familiarizzare con i bastoncini, assai simili a quelli adoperati per lo sci di fondo, affrontare (magari imbracati: un dò di sicurezza non guasta) una parete attrezzata, godere del silenzio, dell’aria pura e – non ultima cosa – della amorevole, attenta, esperta, rassicurante assistenza di un gruppo di medici, psicologi, paramedici che sono essi stessi anche innamorati della montagna, la conoscono bene e ce la fanno amare.
L’approccio è dolce, lento, misurato. La base è a Pian de Rosce (1014 m.). Pranzo leggero, quel che ci vuole per affrontare la prima esperienza, in apparenza del tutto scontata per chi è appena arrivato in montagna: una passeggiata, una lunga passeggiata su un sentiero in saliscendi tra i boschi. Già, ma non una passeggiata qualsiasi: c’è un istruttore, Enzo Faraglia, neo presidente dell’Associazione Nordic Fitness Italiana, che ti suggerisce un nuovo modo di marciare: non a due ma a… quattro ruote. Si tratta di munirsi delle altre due ruote (cioè di bastoni simili alle racchette di cui ci si serve con gli sci di fondo), di muoversi ad un ritmo più efficace che coinvolge l’ottanta percento della muscolatura, di coordinare in modo più razionale i movimenti di tutto il corpo. Facile a dirsi, un po” meno ad abituarsi, a gestire il coordinamento tra gambe e braccia, a controllare l’uso delle mani nell’afferrare e rilasciare le bacchette che sono comunque saldamente ancorate ai polsi. (A proposito, tutti, entusiasti del-l’esperienza, han posto la stessa questione: non sarebbe possibile ripeterla, magari rendere periodica la “passeggiata nordica”, magari a Villa Pamphili, per apprenderne i segreti, per renderci familiare questo nuovo modo di marciare?)
Ma, una volta preso I’abbrivio – e per questo la passeggiata sarà lunga, intervallata da soste per frequenti, preziose spiegazioni tecnico-mediche -, ci si renderà conto almeno di due cose. Intanto, che marciare a quattro ruote consente un cammino più agevole e spedito tanto in salita quanto, ancor più, in discesa. Poi, soprattutto, che con l’uso necessitato delle braccia e del torso tutto il corpo se ne avvantaggia: la muscolatura, la respirazione, l’equilibrio dell’organismo. Accade, insomma, un fenomeno analogo a quello di chi pratica il fondo, e non a caso d’inverno Enrico Faraglia fa il maestro proprio di questa specialità sciistica, e non a caso proprio il fondo e non lo sci veloce, di discesa, è raccomandato proprio ai cardiopatici.
A sera, salendo a Pian delle Valli (1.500 m.) ci aspetta una cena sostanziosa ma mirata: a base di pesce, per ricordare come e quanto un’alimentazione sana, abbinata alla non-sedentarietà e al non-fumo, sia alla base di quel particolare stile di vita che è, insieme, prevenzione e riabilitazione. Poi una piccola, salutare passeggiata: non si va a letto col boccone in gola, soprattutto se bisogna prepararsi ad una più intensa giornata.
La giornata successiva faremo base al Rifugio Sebastiani (1.800 m.). A far gli onori di casa c’è il presidente del Cai di Rieti, Piero Ratti, che ci accompagnerà sull’Elefante. Al rifugio ci aspetta anche (come il giorno prima) una équipe della Croce rossa rietina: quattro infermieri e un’ambulanza
attrezzata. Non ci sarà alcun allarme, nessuna emergenza sarà segnalata, ma le precauzioni non guastano, anzi tranquillizza-no chi fosse apprensivo, dal momento che tra noi c’è di tutto: l’infartuato e il by-passato, chi porta uno o più stent e chi una nuova valvola. E nessuno, tra i pazienti, soffrirà della montagna, dell’altitudine, della rarefazione dell’ossigeno: a fine giornata sarà proprio vero che la montagna è anche per loro una terapia.
Si comincia a salire, a gustare quella sensazione di guadagnata libertà e di sicurezza progressivamente conquistata. L’équipe sanitaria (a Lumia e Scoppola, e alle infer miere Bozena e Pina si è aggiunto un altro medico, lo psichiatra Paolo Di Benedetto, anche lui del Cai) è prodiga di raccomandazioni e di suggerimenti, costanti ma lievi: respirare profondamente, misurare il passo a propria misura, occhio continuo al sentiero. Può capitare che ci sia chi, invece del sentiero, guarda – in cresta – agli strapiombi laterali e venga colto da vertigini. Niente male, càpita: e allora c’è sempre chi, tra medici e infermiere, si fa carico della necessità di riaccompagnare qualcuno alla base. E più tardi ci sarà chi, meno allenato, darà segni non di malessere ma di banale stanchezza. Niente male, ci sarà aiuto anche per lui. Ma la pattuglia dei più resistenti va avanti, e andrà sino a pochi metri dalla cima: ah, se non incombesse quel nuvolone…
Tra i più resistenti c’è l’eroe della giornata: Santo Lui, ottantatré anni, un fascio di muscoli, una vita da sedentario – lavorava alla linotype in tipografia –, qualche serio malanno all’indomani della pensione (un pregresso infarto miocardico, una coronaria chiusa ed una fibrillazione atriale) e poi la riabilitazione nella palestra cardiologica del Santo Spirito. E proprio la riabilitazione, più il radicale mutamento dello stile di vita, ha trasformato Santo Lui in un atleta. Non solo è in testa al gruppo che sale quasi sino in vetta, ma quando si torna al rifugio è il più bravo, il più rapido, il più sciolto ad affrontare la parete attrezzata, a salire disinvoltamente sfruttando ogni appiglio, a raggiungere la cima. Bisogna tenerselo caro quest’uomo coraggioso nel gestire non solo il malanno ma soprattutto la ripresa. Anche lui, come i suoi colleghi di questa quarta edizione di Montagnaterapia, è la prova fisica e psicologica che la montagna fa bene, anche ai cardiopatici, quanto meno a quelli stabilizzati.