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Ma la montagna fa male al cuore?

Homepage scienza e salute Ma la montagna fa male al cuore?
scienza e salute

Ma la montagna fa male al cuore?

27/04/2006
By Giorgio Mazzeri
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Con prudenza, preparazione atletica e preventiva prova da sforzo la maggior parte dei cardiopatici può raggiungere anche i 3. 000 m.

La frequentazione della montagna è in genere sconsigliata ai cardiopatici perché ritenuta in grado di scatenare malesseri anche di grave entità: tutto questo nasce in gran parte dal fatto che alcune persone soffrono del così detto “mal di montagna” con sintomi che in casi estremi arrivano fino all’edema polmonare acuto che è una delle forme di scompenso cardiaco tipiche dei cardiopatico. In realtà il mai di montagna colpisce soggetti predisposti anche giovani e non ha relazioni con i possibili problemi che un cardiopatico può incontrare in montagna. Comunque questa considerazione ha portato a ritenere che il cuore in montagna si affatichi molto: pertanto viene proibita ancora oggi la montagna a cardiopatici che hanno avuto nel loro passato malattie di cuore anche molto lievi e che sono così impossibilitati ad effettuare anche una semplice passeggiata nei boschi a mille metri di altitudine. D’altra parte, invece, vi sono cardiopatici per così dire seri (cioè con danno cardiaco molto importante) che si recano senza alcuna precauzione anche a quote molto elevate, per esempio 3.000 metri, ed anche questa non è una cosa auspicabile. Vediamo quindi di mettere un po’ di ordine in questo argomento molto confuso.montagnaEcuore.zip

In realtà è vero che il cuore ad elevata altitudine lavora di più: questo si realizza perché salendo la pressione dell’ossigeno è minore ed il cuore e la circolazione “girano” (come un motore tarato ad una maggiore potenza) più velocemente: questo fa sì che il cuore batta più velocemente, la pressione arteriosa sia più elevata ed il lavoro cardiaco sia più pesante. tuttavia questi effetti non sono sempre molto intensi: anzi sono molto variabili tra individuo e individuo. Addirittura tali effetti possono essere utili per realizzare una specie di “ginnastica” per il cuore, pari a quella dell’esercizio fisico moderato. Però come qualsiasi esercizio fisico questo può rappresentare un problema per cuori “instabili” o un soggetto la cui reattività a questi meccanismi (aumento dei lavoro dei cuore) sia molto spiccata.

Inoltre bisogna considerare che in montagna le condizioni climatiche sono molto variabili perché è spesso facile incontrare freddo, vento, umidità con cambiamenti anche repentini: queste sono condizioni che come tutti sanno aumentano sia il lavoro dei cuore che quello della circolazione, e si sa che in montagna si va in genere per fare movimento… Così una persona che va in montagna, mettiamo ad una media altitudine, per esempio 2.000 metri, in una giornata un po’ fredda e ventosa e che cammina per tre ore forse non è come se facesse tre esercizi in uno (camminare in quota al freddo), ma esegue comunque un’attività impegnativa.

Da queste considerazioni è evidente che piuttosto che andare o non andare in montagna è importante stabilire chi (quale tipo di cardiopatico) e soprattutto come. E va precisato cosa si intenda per elevata altitudine: comunemente si parla di alta quota riferendosi all’ambiente montano al di sopra dei 2.000 metri. Attualmente infatti i fisiologi considerano “bassa quota” l’ambiente sino a 1.800 metri sul livello dei mare, “media quota” l’ambiente compreso tra 1.800 e 3.000 metri, “alta quota” tra 3.000 e 5.500 metri e “altissima quota” oltre i 5.500 metri. Più la quota diventa elevata, più il lavoro dei cuore incrementa: inoltre anche le condizioni climatiche diventano meno favorevoli. È opportuno quindi che un cardiopatico non si rechi ad alta e ad altissima quota: d’altra parte questo tipo di quesito (posso recarmi oltre i 3.000 metri?) si verifica molto raramente. In genere i cardiopatici chiedono di recarsi ad altitudini di media quota. Per queste altitudini, sebbene gli studi condotti in questa categoria di pazienti non siano molto numerosi e su campioni molto limitati di soggetti, non vi è alcuna controindicazione per il cardiopatico stabile, cioè un cardiopatico che non accusi angina da sforzo (e a maggior ragione a riposo), dispnea (mancanza di fiato) a bassa quota e non sia portatore o a rischio di aritmie severe. A patto però che vengano rispettate alcune regole: per esempio sarebbe opportuno che prima di recarsi a trascorrere un periodo di vacanza in montagna con programma di escursionismo, venga effettuata una prova da sforzo che documenti una buona tolleranza all’esercizio fisico, oltre ad un bilancio cardiologico il più possibile completo che documenti la stabilità della malattia; nei soggetti ipertesi poi la pressione arteriosa deve essere ben controllata, con la terapia: questo perché come abbiamo detto, andare in montagna vuoi dire fare un esercizio fisico più intenso che a livello dei mare, e la pressione arteriosa tende ad essere più elevata, anche stando a riposo. Ed è opportuno precisare che come qualsiasi tipo di attività fisica, e quindi a maggior ragione per l’escursionismo in montagna è necessario, prima di iniziare, avere una buona forma fisica (specie per escursioni impegnative), anche se i test cardiologici hanno dato buon esito. Se si tiene conto di questi accorgimenti i cardiopatici stabili (così detti a “basso rischio”) e con buona tolleranza allo sforzo, purché ben alienati, possono recarsi in montagna senza correre particolari rischi, e purché siano pronti a coprirsi bene in caso di brusco, come spesso succede in montagna, cambiamento delle condizioni climatiche (e magari in caso di freddo ridurre l’intensità dello sforzo che si sta facendo, per esempio rallentando il passo o la durata dell’escursione). Una buona regola comunque è quella di attendere qualche giorno dall’arrivo per effettuare escursioni di un certo impegno: infatti rispettare il così detto “periodo di acclimatazione” permette al sistema cardiovascolare di abituarsi alle nuove condizioni create dalla quota e da quelle climatiche.

Divieto assoluto è invece rappresentato per i pazienti con cardiopatie instabili, per esempio angina instabile, scompenso cardiaco recente c/o non controllato dalla terapia, aritmie severe. Ebbene se i pazienti stabili, dopo aver ben verificato tale stabilità, possono recarsi in montagna e svolgere le loro escursioni senza problemi, e se i pazienti non stabili è meglio che per lo meno rinviino il loro soggiorno a media-alta quota a periodi in cui le loro condizioni cardiache sono migliori, rimane però da capire come devono comportarsi rispetto a questo problema un altro grosso gruppo di pazienti: cioè quelli con una compromissione di grado moderato del cuore, per esempio una disfunzione dei ventricolo sinistro asintomatica di media entità o quelli con rilievo alla prova da sforzo di una ischemia a soglia moderata. Per questo tipo di pazienti non esistono studi che abbiano affrontato la loro tolleranza alla montagna e soprattutto all’attività fisica a quote anche solo medie. Pertanto l’orientamento è quello di sconsigliare quest’ultimo tipo di pazienti ad effettuare escursionismo di montagna. Uideale, una volta verificata la condizione dei pazienti a bassa quota, sarebbe quello di farlo anche a moderata altitudine. Naturalmente non è facile organizzare test di questo genere a 3.000 metri. Ci sta provando il Gruppo Italiano di Cardiologia Riabilitativa (GICR) che da circa un anno ha iniziato uno studio volto a capire se i pazienti con disfunzione cardiaca di grado moderato tollerano la media quota. Alcuni gruppi di pazienti sono stati condotti a quota 2.870 metri sul Monte Rosa e sottoposti ad alcuni test cardiovascolari: lo studio è ancora in corso. C auspicabile che studi di questo tipo si moltiplichino in modo da poter dare in un prossimo futuro risposte più precise sulla tolleranza dei cardiopatico alle diverse quote, e poter permettere a una schiera più nutrita di pazienti una bella vacanza e soprattutto delle belle escursioni in montagna.


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