La “cura della montagna” per i pazienti cardiopatici.
Cosa è la “cura della montagna†, o, come oramai da almeno cinque anni viene in Italia chiamata, la Montagnaterapia (cfr. la parola “montagnaterapia†in Internet)? Per rispondere dovremmo innanzitutto avvicinarci alla conoscenza dell’ambiente naturale montano di media quota (intorno ai 1000-2000 metri) ed alle attività che l’uomo, fin dall’inizio dell’esplorazione spirituale, scientifica o sportiva ha, ad ogni latitudine, praticato. Mi riferisco all’avventura in luoghi geograficamente e geologicamente sconosciuti; a quella motivazione che, oltre a descrivere misurare o fotografare, spingeva l’uomo, ancor prima dell’Epoca dei Lumi, a misurarsi con l’esplorazione verticale, con la sfida al superamento dei limiti psicologici e fisici. A “giocarsi†incontrando la forza di gravità, la quota, gli elementi dell’atmosfera, i rivali o i compagni di avventura; spingeva l’uomo a guardare il proprio mondo da una prospettiva differente; a faticare per raggiungere il terreno più alto: la cima. Forse a voler incontrare l’infinito, o le parti più profonde del sé, o semplicemente il proprio corpo con i suoi ritmi, attraverso un rituale che lo portava ad uscire dall’ambiente costruito ed abitato per poi, colmi di esperienza e “trasformati†psicologicamente e fisicamente e con un nuovo stato di ben-essere rientrarvi. Di tutto questo la Storia dell’alpinismo, la cultura del Club Alpino Italiano e tutta la letteratura di montagna è stata ed è testimone. Scarica il file
Dalle memorie di questo incontro culturale, fisico e psicologico con la montagna nasce, nel tempo, l’osservazione del beneficio scaturito dalle attività che in essa si svolgevano; e che anche noi, come operatori del “Gruppo di lavoro per la Montagnaterapia del Lazio†, abbiamo personalmente sperimentato e successivamente sistematizzato. Un beneficio terapeutico specificamente rivolto ad individui abitanti delle grandi realtà metropolitane; che, come possiamo tutti facilmente osservare, soffrono di un disagio diffuso, conseguenza di alcuni aspetti intrinseci all’esperianza della città. Un meta-disagio che andrebbe letto tra le righe e nelle righe di ogni patologia internistica, psicologica o relazionale, che giunga all’attenzione clinica. Nel nostro specifico possiamo dire che l’individuo affetto da una patologia cardiaca, dopo la fase della riabilitazione in struttura sanitaria ospedaliera o extra-ospedaliera, sente il bisogno di estendere il processo di recupero della salute psicofisica ai luoghi di vita abituali, ma desidera anche provarsi nuovamente nei luoghi di vacanza e di socializzazione extra muraria (luoghi naturali con valenze “ristorative†e con particolari stimoli sensoriali ed emozionali), già frequentati prima della malattia o ancora sconosciuti.
La malattia cardiologica può infatti produrre un “danno secondario” anche per l’instaurarsi di una sofferenza psicologica (e psicosomatica) depressiva; per una caduta della stima di sé; per un distacco dal gruppo sociale e per un aumento delle paure ed insicurezze connesse al funzionamento del corpo. Inoltre la ridotta tolleranza all’esercizio fisico, la presenza o anche solo la paura di sintomi quali l’affanno o l’angina, costituiscono spesso motivo per ridurre la propria attività fisica e limitare le proprie esperienze anche ricreative. La richiesta è spesso quella di sentirsi accompagnati e controllati, in questa delicata fase di autonomizzazione, sia da un punto di vista cardiologico che psicologico, dall’ospedale. L’ambiente montano, con i suoi stimoli e le occasioni di contatto con gli altri, con i limiti oggettivi imposti ma anche con le potenzialità delle mete da raggiungere, con l’allenamento fisico necessario e la valutazione delle risorse energetiche, ben si presta per un percorso terapeutico-riabilitativo “estensivo†(da un punto di vista cardiologico e psicosociale) che abbiamo appunto chiamato: “Montagnaterapia cardiologia†. Ecco da dove è nata l’esperienza del Terminillo.